martedì 29 dicembre 2009
Rolling Stones' Guitars - Fender Telecaster Rosewood
Per i primi due shows del Tattoo Tour del 1981 Keith utilizzò un paio di Les Paul Jr alla ricerca di un suono più corposo e caldo per canzoni quali Let's Spend the Night Together, Let Me Go e Black Limousine; verso metà tour optò per questa Rosewood Telecaster, del 1971, suonata con entrambi i pickups on per LSTNT e Waiting on a Friend.
Sempre nell’ambito del tour americano del ’81 gli Stones parteciparono in massa ad uno show di Muddy Waters al Checkerboard Lounge di Chicago: Richards, chiamato sul palco, si esibisce appunto con questa chitarra.
Ed è proprio questa chitarra che Keith definì “being too heavy" sul suo sito web.
Queste chitarre sono quantomeno strane: molto belle ma altrettanto pesanti, suonano più come Les Paul con un P-90 che come una Tele standard, hanno più sustain sebbene non sia questo che si ricerca in una Tele.
venerdì 18 dicembre 2009
Keith Richards, born Dec. 18th 1943
God loves Keith Richards. He sent us down the greatest, longest living rockstar there will ever be. Made him immune to death. Gave him excellent haircuts and great clothes. Blessed him with the gift of the riff, to spread long and far.
C’mon, Jesus didn’t get half of that.
I mean, fuck… imagine a world where Keith Richards had never been born?
Rock’n’roll would still be wearing matching suits if it wasn’t for this guy. We wouldn’t have got the New York Dolls, so we wouldn’t have got Ramones, so we wouldn’t have got punk, so we wouldn’t have got independent, industrial or alternative dance music, so we wouldn’t have got nu metal, so we wouldn’t have emo… Er, come to think of it maybe the matching suits aren’t such a bad idea? Matching suits or matching haircuts? I digress…
Understand one thing, if you play in a band who have an edge you are influenced by Keith Richards and the Stones, whether you know it or not.
Keef’s mark on modern music is criminally ignored in favour of The Beatles. To me there’s no comparison. Apart from the sheer amount of music put out by The Stones (okay, some of it patchy, but come on, listen to some of crap that The Beatles put out in their relatively few years… “We all live in a Yellow Submarine”? They didn’t, no one does). The Beatles were great largely due to the talents of George Martin. The Stones are great because of Keith Richards.
And still they continue to reign due, solely, to the motor-force that is Keef.
The great man would say that it’s Charlie Watts who keeps the Stones rolling, but Keef’s humility is only highlighted by humble comments like this. Charlie plays to Keef. The Stones play to Keef. He is the equivalent of having a Sun.
If he ever died (God forbid, shit… the world would plunge into utter darkness) we would THEN celebrate his incredible achievements, his legendary life, his influential style in both presentation and music and we would also realise what it is to truly miss a great rock’n’roll hero, for the very first time. Miss him like the passing of our own mother. Lennon’s death would be minuscule by comparison.
It makes me fucking sick to my stomach that ‘journalists’ can deride the Stones longevity without instant dismissal and blacklisting. It should be law.
Like Jesus, Keef is beyond criticism. He has passed beyond the realm of judgment into the area of legend. Untouchable and justified. A living icon who still makes music for the music, not the money.
The same bullshit is spewed every time the Stones tour (”they’re making a billion each from the merchandise alone”), does anyone actually think that this man makes music because of a fucking paycheck? Shame on you.
The Stones have worked harder and for longer than any of us could possibly conceive. They deserve every damn brick of every damn house that they own.
A world without Keef would be a world where fantasy is one dangerous step closer to extinction and mortality a daily paranoia. Rock stars wouldn’t smoke, drink or take ANY chances anymore, opting for a dull, if financially rewarding career. How would it be if we could peer into the future and see exactly how pedestrian a world of music would be in the hands of healthfreaks? Ugh…
He’s seen ‘em come and he’s seen ‘em go. Many have wanted to be Keef, all have failed and most are dead.
I love Keith Richards with all my heart. We all do. God loves him. Well, God loves us all… but he’s only got one poster on his wall.
di ginger da classicrock
giovedì 17 dicembre 2009
Fender Stratocaster '62 Fiesta Red - Xmas Sale!
martedì 15 dicembre 2009
Honky Tonk Women
honky tonk women è la canzone che mi fa (s)ballare di più. conquista di diritto il mio podio personale. la metto in quel gruppo di stones evergreens che mi dimostrano come il cuore della band non sia propriamente jagger e richards ma watts e richards. ok, fu jimmy miller a suonare il campanaccio come sua vera intro ma è l’intreccio fra charlie e keith, quel beat e quel riff che sprigionano la potenza del motore stones, che fanno decollare il pezzo. e non c’è il basso durante i versi… fu il primo singolo con mick taylor e venne incisa in un giorno del giugno 69. nacque come canzone country a la hank williams. quindi entrò in scena ry cooder con i suoi mandolini e le accordature strane. ry mostrò a keith come suonare l’intro. fu tutto quello di cui ebbe bisogno. il resto sono chiacchiere. la parte principale di chitarra è il classico open g di keith, già con il mi basso rimosso. ampli ampeg e una telecaster con ogni probabilità di ry cooder. il riff umano la suona con un misto di unghia e polpastrello, molto raw.
quanto rock’n roll c’è in “I met a gin soaked bar-room queen in memphis”? sesso, vizio, il sud degli states. lo stesso richards riconosce che è una canzone che trascende tutti i generi. un arrangiamento semplice ma tremendamente efficace. stop e double-stop. il resto è groove, feeling. più un paio di fiati R&B ed i testi sboccati di jagger. hoooo-ooooo-ooooonky tonk women … che ritornello, chi l’ammazza? tre minuti scarsi, non butto via un istante.
e la ritengo anche importante come momento chiave perché incisa proprio nel periodo fra l’ ingresso nel gruppo di mick taylor e la morte di brian jones, un voltare pagina nella loro storia, acquisendo un suono che mai più avrebbero mollato. comanda keith richards.
Come diventare un bluesman della Madonna ...
1) cambia ‘sto cazzo di nome!!! se ti chiami che so? carmelo … ma dai!!! howlin’, t-bone, elmore, big bill, questi sono nomi da blues
2) perdi la vista … blind lemon jefferson, blind willie mc tell, blind boy fuller, blind willie johnson confermano che anche se non vedi la tastiera …
3) te lo devi sentire!!! dimenticati pure tapping a due mani, shredding e compagnia bella, il blues non è solo tecnica, you gotta feel it! pionieri del blues come son house non eccellevano in virtuosismi ed avevano tecniche ben poco ortodosse, erano tutto suono e vibrazioni. impara la tua pentatonica blues, metti un disco di bb king e spremi ogni nota fino a farti venire le lacrime agli occhi. e ricorda: if you don’t feel it, don’t play it.
4) smorfie ... se non sembra che stai aspramente lottando per qualcosa, sei sulla strada sbagliata. dai un’occhiata a bb king, gary moore o srv … che facce!
5) stai al fresco … ma non per il freddo, bello, perché sei finito dentro! bluesmen leggendari come leadbelly, bukka white e lightnin’hopkins hanno passato parecchio tempo dietro le sbarre per affinare la loro malata visione del mondo. anche se non vuoi arrivare a uccidere qualcuno, uno scazzo con la fidanzata, un bottiglia di whisky e la vita – è – una – merda – e – morirò – presto come stato mentale possono far scattare la scintilla
Allora sei pronto? “I woke up this morning, my baby was gaaawn …”
Come ottenere il blues sound
1) hai bisogno di un “legno” … muddy waters sembra che iniziò a suonare con un cavo elettrico attaccato alla parete della sua baracca a clarksdale, mississippi. se non vuoi partire così dal principio beh, hai bisogno quantomeno di un qualcosa di più … trasportabile. ti suggerisco una chitarra, tutte vanno bene ma una les paul, una 335 o una telecaster, vuoi mettere?
2) le corde … lascia le corde ultra light ai fighetti, ok? stiamo parlando di blues, eccheccazzo! quindi non pensare neanche a qualsiasi cosa sotto 0.10, più grosse sono le corde più tono avrai. ricorda il sacro graal del blues è il tono!
3) piccoli ampli … in epoca pre-marshall, i bluesmen usavano piccoli ampli a valvole della gibson, della supro, della fender. segui la via e vedrai che sei sulla strada buona
4) incasina l’accordatura … per il vero “mojo” usa accordature aperte. accorda la tua chitarra in open G, D, A e avrai quel delta sound autentico …
5) lo slide … o bottleneck fa parte della scatola dei giochi di ogni bluesmen degno di tale appellativo. di metallo o di vetro con una chitarra accordata aperta, con le corde “alte” sulla tastiera e … vai!
… e soprattutto
Stai sempre in campana, suona si la chitarra ma non dimenticare le donne: ti danno un sacco d’ispirazione e motivi, di gioia e dolore, perfetti per il blues. Let your mojo working
lunedì 14 dicembre 2009
Gibson Les Paul Junior
la gibson les paul junior è una chitarra che ho sempre apprezzato e desiderato, da quando la vidi e sentii suonata da mr. rock’n roll, si lui, keith richards per midnight rambler e it’s only rock’n roll fra le altre, durante il voodoo lounge tour. ma anche da mick jones e da johnny thunders … l’ho cercata, in italia e all’estero, in negozi e sul web, nuova o usata…ho sempre trovato splendide “nonnine” ma dai prezzi esorbitanti. poi sono entrato in contatto con un rivenditore giapponese, un po’ di trattativa ed eccola qua, la “giallina”, una re-issue, made in USA, limited edition for japan import only, corpo (double cut) e manico in mogano, tastiera in palissandro, meccaniche gibson deluxe singole, non il terzetto (che ho già trovato per la sostituzione …), ponte wrap around e il suo cuore pulsante, il p-90. potenziometri gibson e condensatore bumblee bee. monta corde gibson, vintage reissue, 0.10. leggera, poco oltre i 3 kg, molto maneggevole. e suona gran bene, l’accoppiata mogano/palissandro e p-90 è spettacolare: la timbrica calda, rotonda del pickup, regala un suono corposo, molto equilibrato (alti mai troppo acuti, bassi mai troppo profondi) non facendo rimpiangere la mancanza di un pick up al manico. spartana, senza binding e finiture di pregio, proprio come piace a me, ideale per strapazzarla senza paranoie su un palco. quelle che potrebbero sembrare mancanze si rivelano essere le qualità che ho sempre cercato in una chitarra, semplicità e funzionalità. un piccolo capolavoro!
Rolling Clones Guitars ...
giovedì 10 dicembre 2009
sabato 5 dicembre 2009
Going Down South
verso la fine del tour del ’69, dal 2 al 4 dicembre, i Rolling Stones “sparirono” per un breve periodo … fecero base all’holiday inn di sheffield in alabama per dedicarsi ad a una seduta di sessions, su suggerimento di jim dickinson, apprezzato session man dell’area, ai muscle shoals studios, una fattoria semi abbandonata chiamata The Burlap Place, dove già aretha franklin e altre star del giro soul e r&b avevano registrato brani immortali.
secondo jimmy johnson, ingegnere del suono degli studios, verso l’una di notte gli stones iniziavano a girare a palla, davano il loro meglio … prima canzone che fu incisa you gotta move (la sto ascoltando proprio ora) già proposta dal vivo nel corso del tour ma dai soli jagger e richard mentre ora se ne voleva fare una versione con la band tutta … dopo circa 20 take keith sostituì il dobro national con una 12 corde (!!!), bill si sedette al piano elettrico per i bassi, mick II ci mise più melodia e mick cantò storpiando l’accento sudista che aveva sentito dagli annunci all’aeroporto… cibo speziato, whiskey e erba in quantità …
quindi brown sugar … mick spiegò la parte musicale a keith e compose i versi al momento, grande … le prime take mancavano di sporcizia secondo mick “it should be fuckin’dirty” finchè keith prese in mano una gibson sg nera (dove cazzo la tenevi sta chitarra …) che collegata al pulito di un fender twin amp perfettamente si accoppiò alla stratocaster di mick II … il verso hear him whip the women mick lo cantò la prima sera ma la sera seguente cantò You should have seen him … jim dickinson, estasiato dalle liriche di jagger fece presente la cosa a charlie il quale insistette affinchè lo facesse notare a mick … “oh yeah, that’s right” ...
wild horses… avendo stu deciso che gli accordi in minore non avrebbero fatto per lui pianista di boogie già solo dopo essere venuto a conoscenza della chiave musicale, mick decise che sarebbe stato jim il pianista. questi si sedette al piano a muro, dove i boys tenevano inboscata la roba, e suonò una melodia alla Floyd Cramer … mick chiese “ keith, what do you think of the piano?” e keith “God bless him It’s the only thing I like!” …
A sottolineare il clima di semiclandestinità dei nostri, una cameriera in hotel chiese se facevano parte di una band. Bill rispose “Martha Reeves and the Vandellas!”. La ragazza scoppiò il chewing gum e senza battere ciglio servì il piatto della casa ...
mercoledì 2 dicembre 2009
mercoledì 25 novembre 2009
40 anni fa ...
Fra il 1968 ed il 1972 i Rolling Stones pubblicarono quattro album in studio che li trasformarono da Beatles-chasing pop ruffians al rango di nobiltà rock internazionale. Lasciatesi alle spalle i ’60 con Beggars Banquet e Let It Bleed ed entrati nella nuova decade con Sticky Fingers ed Exile on Main Street confermarono che finita un’era, gli Stones erano ben decisi a ritagliarsi il proprio spazio in quella successiva. E il disco che al meglio racchiude in se questo percorso è un live dovuto per ottemperare obblighi contrattuali con la casa discografica e che, nonostante il raggiungimento del vertice delle classifiche e l’accoglienza entusiastica di vecchi e nuovi fans, è ora un qualcosa tipo gemma perduta. Il documento del tour evento del North American Winter Tour del ’69, Get Yer Ya Ya’s Out, è la quintessenza degli album concerto della band e con ogni probabilità il più bel disco rock’n roll dal vivo mai inciso. Grezzo, senza costrizioni ed intriso di quella mitologia Stones, trova la band nel tentativo di guadagnarsi il diritto di esistere nel nuovo, post-psichedelico, ordine mondiale. Arricchito il loro repertorio di riffs a la Chuck Berry con il fluorescente libertarismo dei tardi ’60, elevarono il linguaggio del rock ad inimmaginabili picchi di eloquenza. Il risultato fu una perfetta combinazione di artistry ed arroganza – di cui gli Stones ne furono ben consci. Anche perché il disco comincia con un collage di stage announcements e isterismi del pubblico in attesa che sfocia nella sola voce di Sam Cutler che pronuncia il most infamous conceit in rock : “The greatest rock’n roll band in the world … the Rolling Stones!” Arrogante? Senza dubbio ma alla prova dei fatti, accurato e totalmente giustificato. Raramente gli Stones si dimostrarono così bisognosi di successo. Il tour americano fu la prima continuativa apparizione davanti ad un pubblico per il nuovo chitarrista, Mick Taylor, che sostituì Brian Jones nel corso dell’estate. Venne anche visto in prospettiva di rimpinguare le fragili finanze della band, fortemente provate in seguito alle ferite causate dai continui arresti e relativi processi per droga e dalle costose diatribe con la loro etichetta discografica, la Decca. Dopo un’assenza virtuale di quasi tre anni, durante i quali un chitarrista venne licenziato prima di morire, un altro diventò dipendente dall’eroina ed il cantante si dedicò alla recitazione in alcuni film, i Rolling Stones scelsero di ritornare con il più lucrativo rock circus viaggiante mai visto in precedenza. Avevano ogni buona ragione quando, sbarcati all’aeroporto di Los Angeles il 17 Ottobre 1969, si rivelarono pieni di quella distaccata, calma e collettiva tracotanza. Come Jagger ebbe a dichiarare “It’s more of a band now, fucking incredibly hard band”. Molto era cambiato dalle ultime esibizioni, 1966, sul suolo americano. L’America era divisa, fra guerra e lotta per i diritti civili, fra permissivismo e rock revolution. All’inizio dell’estate Elvis aveva portato il rock’n roll nel costoso e “grasso” circuito di Las Vegas. Contemporaneamente una nuova generazione “contro” di artisti suonò davanti a mezzo milione di hippy infangati a Woodstock. Fu quindi tutto meno che sicuro dove i Rolling Stones si sarebbero posizionati nel nuovo ordine del rock mondiale, in particolar modo al loro arrivo quando incontrarono l’opposizione critica riguardo l’alto costo dei biglietti e la rabbia degli scandalizzati guardiani di Dio. Accerchiati, gli Stones gentilmente elusero gli attacchi dei media e lasciarono parlare la musica. Le 18 date sold out del tour si rivelarono un successo senza precedenti. Anche il famoso promoter di San Francisco, Bill Graham, uno dei più feroci critici per l’elevato prezzo dei biglietti, si trovò ad ammettere che “that cunt (Jagger) is a fuckin’great entertainer”.Gli Stones riconquistarono l’America con una giusta e misurata dose di decadenza ed un senso dello spettacolo spinto da quella creatività tipica degli attori di teatro. Ma ci fu comunque una pungente quanto dolorosa coda. In un gesto di bontà e riconoscenza, la band organizzò, con parecchie difficoltà, un concerto di arrivederci, gratuito, da tenersi presso l’Altamont Speedway in California, il 6 dicembre. Fu una decisione fatale. Gli Hell’s Angels, chiamati quale servizio d’ordine per l’evento, reagirono brutalmente nel tentativo di tenere a bada la grande massa di presenti, culminata con l’uccisione a coltellate, di Meredith Hunter, un nero che brandiva una pistola, durante l’esecuzione di Under My Thumb. Fu poca la sorpresa che Gimme Shelter, il film del tour che documentò il tragico accaduto, oscurò l’album registrato al Madison Square Garden di New York meno di due settimane prima. Mentre Get Yer Ya Ya’s Out (il cui titolo sembra abbia origine da un canto voodoo) fa comunque trasparire in parte quella paura e carica emotiva che sfociò in realtà ad Altamont, è anche un sublime esempio della capacità di re-invenzione del rock’n roll; una celebrazione di quanto lontano riuscì ad andare la musica del diavolo senza allontanarsi dal suo originario heartbeat. Come le chitarre dissezionano il Chuck Berry di Carol e Little Queenie con una miscela di riverenza e rabbia, si può essere perdonati se si pensa che queste siano la vera Golden Hour di Keith Richards. E più la band diluisce Midnight Rambler e Street Fightin’Man, più Jagger si dimostra uno sciamano alienato. Ascoltare Mick Taylor entrare nel secondo solo durante Sympathy For The Devil (“Beautiful to hear” disse Jagger) e potrete giurare che sia stato il più dolce strumentista della band. E la sezione ritmica? “Charlie is good tonite, innee?” per dirla alla Jagger la dice lunga. L’ingresso del disco nel territorio del sublime è giustificato dalla inconsapevole sfida dell’essere un album dal vivo. In particolare, data la qualità delle versioni originali, parecchie delle performance uguagliano o sorpassano le loro controparti in studio. Stray Cat Blues spinge l’innato sadismo della canzone ad ancor più elevati livelli di punizione, mentre il tour-de-force di Midnight Rambler fa sembrare quasi esitante l’originale. Live with Me stessa punge in maniera più mordace ed anche Sympathy for The Devil e Street Fightin’Man vengono proposte con addirittura più groove. Forse le sole Honky Tonk Women e Love In Vain concorrono a mantenere a regime la spinta verso l’alto. Il segreto del successo di Get Yer Ya Ya’s Out risiede nel fatto che racchiude la tradizione e la raccoglie in una borsa marchiata “permanent revolution”. Si sono susseguiti numerosi altri album dal vivo dei Rolling Stones ma nessuno di loro è mai riuscito a ripetere la riuscita magia di trasformare cliches in squilli di tromba. Prendete Little Queenie, un bar-room standard tipico della tipologia che gli Stones hanno suonato per oltre 40 anni. Mai più suonata come allora, con linee di chitarra stralciate dal libro mastro del R&B e quindi riproposta con così tanta minacciosità: Chuck Berry con un coltello, il cazzo duro ed uno spinello. Circolano alcune incisioni che tendono a sminuire la veridicità dello strillo “in concert” sulla copertina. E’ ovvio che GYYYO sia stato sottoposto ad un’operazione di pulizia in studio, cancellando alcuni passaggi di chitarra non desiderati, sebbene storie che vogliano una completa ricostruzione in studio si rivelino grossolanamente esagerate. Di fatto, secondo gli odierni standard, il disco sarebbe probabilmente considerato come un poco curato sebbene decentemente inciso bootleg. Ma più importante ancora, a differenza di alcuni successivi live album, Love You Live, Still Life e Stripped, è che l’atmosfera del pubblico mai diminuisce le dinamiche che si concretizzano on stage. Tutti gli ingredienti principali di un classico concerto dei Rolling Stones, colti al picco della loro capacità, qui si ritrovano. E nonostante non si possa vedere, la irritante “presenza” di Jagger – consacrata da una serie di bon mots che da allora sono entrati nella leggenda – è ben presente in tutto il disco. Con gli Stones così in palla, non è un sorpresa che Mick “bust the button of his trousers” quella notte.
martedì 17 novembre 2009
Stefano Zabeo and TV Mama - Out Again
L’ultimo lavoro di Stefano Zabeo and TV Mama, Out Again, parte alla grande con un pezzo, I Won’t Trade My Blues, che è di per sé una dichiarazione d’intenti cioè riprendere quel progetto musicale mai accantonato, legato al British Blues che lo ha visto protagonista, già a partire dai Sixties, avendo collaborato con artisti del calibro di Alexis Korner, Ian Stewart, Mick Taylor, Zoot Money per citarne alcuni.
Accompagnato da musicisti sopraffini, Mauro Tolot al basso, Carlo Bonazza alla batteria e Carlo Zambon all’armonica – stupendo il suo pezzo cantato, I Love The Life I Live, cover di Willie Dixon - ed una manciata di ospiti, Stefano “papa” Zabeo, voce e chitarre, dà vita ad un disco che suona fresco, moderno, attuale che gioca rispettandola con la tradizione.
Una dozzina di canzoni, 10 a firma propria ed un paio di cover, rileggono l’universo musicale caro all’autore, fatto di sonorità vintage e riferimenti eccellenti – Bo Diddley in It’s Only Love e Howlin’Wolf nella cover Evil – e trasmettono, già ad un primo ascolto, la passione e l’amore per il blues, linea guida della carriera musicale di Zabeo e dei suoi TV Mama . Oltre alle canzoni già citate, da segnalare il coro gospel, sacrale e toccante, di Event, la traccia che chiude l’album e l’allegria di Rock’n Roll is Keef, omaggio a Keith Richards, condotto dalla chitarra, accordata rigorosamente in Open G, di Alberto Favaro e arricchita da un coro di fans.
Un gran bel disco. Bentornato Stefano!
www.crotalo.com
Accompagnato da musicisti sopraffini, Mauro Tolot al basso, Carlo Bonazza alla batteria e Carlo Zambon all’armonica – stupendo il suo pezzo cantato, I Love The Life I Live, cover di Willie Dixon - ed una manciata di ospiti, Stefano “papa” Zabeo, voce e chitarre, dà vita ad un disco che suona fresco, moderno, attuale che gioca rispettandola con la tradizione.
Una dozzina di canzoni, 10 a firma propria ed un paio di cover, rileggono l’universo musicale caro all’autore, fatto di sonorità vintage e riferimenti eccellenti – Bo Diddley in It’s Only Love e Howlin’Wolf nella cover Evil – e trasmettono, già ad un primo ascolto, la passione e l’amore per il blues, linea guida della carriera musicale di Zabeo e dei suoi TV Mama . Oltre alle canzoni già citate, da segnalare il coro gospel, sacrale e toccante, di Event, la traccia che chiude l’album e l’allegria di Rock’n Roll is Keef, omaggio a Keith Richards, condotto dalla chitarra, accordata rigorosamente in Open G, di Alberto Favaro e arricchita da un coro di fans.
Un gran bel disco. Bentornato Stefano!
www.crotalo.com
Voodoobox feat. Darryl Jones - I Wanna Roll
Maxi singolo d’esordio, 3 brani, dei Glimmer Twins veneti, al secolo BJ, voce e Al Bert, chitarre, musicisti innamorati del rock’n roll a firma Jagger / Richards (ma non solo). Si avvalgono, oltre che del loro consueto entourage di ottimi collaboratori, dell’apporto al basso di Darryl Jones – Miles Davis, Madonna, Sting, gli stessi Rolling Stones nel suo CV - che produce questa loro prima uscita.
Testo secco, immediato, nella più pura tradizione RnR a sottolineare gli accordi aperti trademark della lezione richardsiana mandata a memoria dal bravissimo Al Bert, per una canzone, introdotta dalla voce tonante proprio di Jones e contraddistinta dall’accattivante ritornello, alla quale bastano poche battute per rimanere in testa. Sostanza e tiro, difficile stare fermi.
Più d’atmosfera la seconda traccia, Azazello & The Cat, reminiscenze psichedeliche evidenziate dall’uso di effetti sia per la parte cantata che suonata, in sintonia con Il Maestro e Margherita, libro cult dei Sixties, dal quale trae ispirazione, sogno (o incubo?) ad occhi aperti. Dinamiche studiate per una canzone che richiede equilibrio nell’impasto sonoro. Un tuffo nella Swingin' London.
Nivea Dry, che chiude questo singolo sorprende e diverte oltre che per il testo, scanzonato ed al limite del canzonatorio, su un uso “alternativo” del citato prodotto, per la naturalezza con la quale i Voodoobox, giocano con il Rock’n Roll, sicuri della loro passione, sfacciata e irriverente, devota e rispettosa.
Buona la prima, ragazzi, Keep On … Rollin’!!!
lunedì 16 novembre 2009
venerdì 30 ottobre 2009
giovedì 29 ottobre 2009
domenica 25 ottobre 2009
sabato 24 ottobre 2009
Some Girls
Il 77 per gli Stones fu un anno particolare. I loro ultimi due album, It’s Only Rock’n Roll e Black & Blue, non raggiunsero, nonostante le ottime vendite, gli standard degli album di inizio decade, Sticky Fingers e Exile On Main Street. Mick, inoltre, non sopportava più Keith ed il suo abuso di droghe; Keith non vedeva di buon occhio il presenzialismo di Mick, nessuno rivolgeva parola a Bill, Ronnie era appena arrivato e Charlie si lamentava della dipartita di Mick T. Il loro nuovo album avrebbe dovuto essere un live, che, considerando l’uscita di già 3 best of, portava a 4 le retrospettive uscite dal 75. La band prenotò il Mocambo Club di Toronto per registrare un paio di bonus tracks. Keith intanto si faceva beccare dai mounties con una grossa quantità di eroina. Venne accusato di traffico internazionale, rischiava un ergastolo, venne rilasciato su cauzione in attesa di giudizio. L’arresto di Keith fu probabilmente la ragione per la quale Mick volle entrare in uno studio e incidere. Oltre ad avere già materiale e idee prima che Keith potesse crollare definitivamente, avrebbe stretto la band intorno a Keith e l’avrebbe tenuto lontano dai peggiori presagi sul suo futuro. Venne prenotato uno studio a Parigi e ingaggiato Chris Kimsey, già assistente in Sticky Fingers. Gli Stones incominciarono a lavorare in uno stato di tensione, solidarietà e rabbia che rifletteva a pieno titolo lo stato d’animo della band. L’energia, la potenza, l’ironia ed il sarcasmo di Some Girls, bellezza delle canzoni a parte, lo lega ai classici album degli Stones. Suona fresco e in linea con i tempi. Così come Let It Bleed si lega alla fine della vibra anni ’60, Some Girls fa proprie le due tendenze musicali di fine anni ’70, disco e punk. Sebbene Jagger e Richards si presentino come Glimmer Twins, storia vorrebbe che Some Girls fosse “Mick’s album”, secondo l’idea che con un Keith così alla frutta e probabilmente a breve, al fresco, Jagger prese in mano la situazione e portò l’album a casa. “Direi l’opposto” sostiene Chris Kimsey “ fu l’album più corale al quale ho lavorato. Credo che Mick si sobbarcò il lato business, ma non tutto il lato creativo. Non importava in che stato fosse ma Keith non l’avrebbe permesso a nessuno”. Buona parte venne scritta in studio, una quarantina di canzoni, in diversi stati di completamento. Alcune di queste vennero pubblicate in seguito. Inoltre si riteneva che potesse essere diviso in Mick’s songs e Keith’s songs; Mick che era ormai presenza fissa assieme a Bianca allo Studio 54 di New York, venne visto come il responsabile di quelle canzoni dove prevale l’elemento disco, Keith dove prevale l’elemento punkeggiante. Secondo Chris Kemsey era la prima volta che vedeva Mick suonare la chitarra in maniera così rozza e a volume pazzesco. Keith delle volte staccava il suo ampli perché suonava “too fuckin’loud!” . Keith, secondo Mick, odiava il punk, non li considerava musicisti ma belle statuine. “eravamo decisi a suonare rock n roll veloce. Non ci sono ballate in Some Girls, a parte Beast of Burden e Faraway Eyes, che pur ridicolizzando la country music la magnificava”. Se a Keith non gliene fregava nulla della disco, non ebbe comunque problemi con Miss You, scritta da Jagger a Toronto in assenza di Keith. Come disse Mick “ la band ha sempre suonato disco in un modo o nell’altro e Miss you non è disco disco, che so, come Da ya think i’m sexy di Rod Stewart, la canzone ha delle gran chitarre al posto di archi e oooohe oooohe girls” . Miss You ha un tiro fenomenale. Il riff d’armonica venne suonato da un tipo di New York, scovato in metropolitana a Parigi. Nonostante il grande numero di ospiti che affollavano il bar dell studio, gli Stones usufruirono dell’aiuto del sassofonista Mel collins e di ian mclagan, tastierista con wood nei faces. Wood trovò il suo ruolo in some girls. Sebbene suonasse con la band dal ’75, il suo contributo all’album precedente, black & blue, si limita ad un paio di canzoni e altre parti marginali. In some girls risalta invece il suo entusiasmo chitarristico e la sua capacità con la pedal steel. Riascoltando il disco a distanza d’anni ci si rende conto dell’attitudine che lo lega ad una città più di ogni altra, new york “erano canzoni very new york, scritte a new york, con l’energia di new york” secondo mick. Il gruppo aveva inoltre stabilito il quartier generale della rolling stones records a manhattan. La copertina stessa, era geniale, una specie di pubblicità di acconciature, che procurò noie legali da raquel welch e lucile ball. La title track portò il reverendo jesse jackson a boicottarne le vendite per la frase “black girls just wanna get fucked all night/ i don’t have that much jam” leggendolo come un insulto razzista. La canzone, una california girls dei beach boys versione x-rated, era nella più pura misoginia stones. La band comunque dovette scusarsi ufficialmente. E keith richards? Ritornò in canada, venne dichiarato colpevole d’uso ma non di traffico d’eroina, la sentenza venne sospesa e condannato a suonare un concerto per beneficenza. The Rolling Stones swaggerd on to fight another day.
mercoledì 21 ottobre 2009
martedì 13 ottobre 2009
venerdì 9 ottobre 2009
Red Wing Boots
La Red Wing Shoes, fondata nel 1905 a Red Wing nel Minnesota da Charles H. Beckman, ha prodotto più di 200 mila paia di scarponcini l'anno, servendo le forze armate a stelle strisce in entrambe le guerre mondiali e i lavoratori che avevano bisogno di calzature robuste. Nella foto il modello 875, a sette occhielli, ai piedi dei lavoratori americani (e non solo) sin dagli anni '40.
martedì 29 settembre 2009
The Rolling Stones
sin dall’inizio i rolling stones hanno diviso opinioni. nessuna sorpresa, in occasione dell’uscita del loro album d’esordio, nell’aprile ’64, quando il daily herald, vecchio quotidiano della sinistra inglese, lo definì disgustoso mentre il new musical express avvertì i lettori che sarebbe stato il miglior disco d’esordio di sempre elogiandone la frenetica, brutale magnificenza. il loro manager andrew loog oldham amava questo tipo di conflitto e lo gestì con cinica lungimiranza. controversia era anche la chiave di lettura della frase riportata sul retro della copertina “The Rolling Stones are more than just a group – they are a way of life” . ci giocò su ancora convincendo la decca a pubblicare sulla front cover solo una foto dei 5 rivolti verso la macchina fotografica, senza riportare il nome del gruppo. lo scatto venne studiato ancor più dell’album stesso che coglieva i nostri alla fine del loro apprendistato e all’inizio del loro primo significativo periodo di transizione. l’autunno precedente oldham, notoriamente, chiuse in una stanza del loro appartamento in mapesbury road, brondesbury, a nord di londra, mick e keith affinché scrivessero una canzone anche se i due non avevano nulla che potesse funzionare in un contesto di standard di R&B. tell me era l’unica composizione a firma jagger / richard a disposizione. sebbene fosse un timidamente lugubre e al tempo stesso innocente lamento, rappresentò un’indicazione sul futuro della band. il resto dell’album era invece intriso di storia. oldham conosceva pochissimo di registrazione ma lo produsse in quanto era sua fissa diventare come phil spector. dimostrò fegato e attributi, si sbarazzò della vecchia guardia della casa discografica e riuscì a portare a termine l’album sebbene dovesse imparare ad utilizzare il revox due tracce del regent sound, in denmark street – definito da shel tiffany, uno dei top producer dei sixties “un buco di merda con cartoni per le uova alle pareti”. bill farley, ingegnere al regent, disse “quando arrivarono, il 4 gennaio 64, non avevano nessun idea di arrangiamento. suonarono finchè non trovarono il giusto feeling. non ci fu nessuna sovraincisione e neanche retake” non si potevano permettere né l’affitto né ne avevano il tempo con un concerto praticamente ogni sera. il loro successo derivò dal calcolo di giuste mosse in previsione futura e dal suonare guidati da un istinto viscerale. sostanzialmente presero il meglio dei loro live set, il che significava black music, R&B. ma come potevano conciliare jimmy reed, slim harpo, muddy waters, rufus thomas e rendersi credibili? cioè non essere dei normali ragazzi bianchi di londra che rifanno i ragazzi neri americani e confrontarsi invece con storie di razzismo, ghetti, raccoglitori di cotone e schiavitù? l’impossibile ma veritiera risposta è che attraverso passionali e non sempre fedeli copie, trovarono se stessi. sicuramente quando jagger intona “don’t you know that I love you” all’inizio di honest I do, sincero e tuttavia dileggiante perché, sebbene fosse già una star, non aveva altra modo che ammettesse vulnerabilità. alla stessa maniera quando charlie watts imposta il suo oscuro beat con un andamento scanzonato, di chi la sa lunga per I’m a king bee.
in maniera totale quando inciampano nella feroce frustrazione che muddy waters canta e si cimentano in una I just want to make love to you che sprizza testosterone da tutti i solchi. l’averla suonata a velocità doppia la rende solamente loro e ancora suda. suonano come uomini, non ragazzi e suonano come sesso, forse amore, sicuramente non come una storia romantica. le loro incursioni nel soul non ricevettero molto credito al tempo. vero è che can I get a witness, di marvin gaye, era l’idea di oldham quale possibile singolo. jagger non ne conosceva le parole e fu spedito di corsa a comprare lo spartito in savile row. Ma con il piano di ian stewart molto incazzato, i rolling stones come vittime petulanti – “it hurts me so inside to see you treat me so unkind” – si dimostrano unlovely, ma comunque sempre convincenti come marvin gaye stesso e i maestri della motown . lo stesso avviene per you can make it if you try; la loro versione mette da parte quella di gene allison, cantante gospel, che la incise originale nel ‘57 preferendo la sporcizia e l’incertezza (perché è questo quello che conoscevano).
il rock’n roll nero presentò meno problemi, data l’ossessione di richard con chuck berry ed i riff di bo diddley. si avverte una spensierata freschezza nel loro impasto di chitarre, le accelerate di route 66 e carol (e mona sul vecchio lp uk). allo stesso modo, not fade away, il singolo uscito a febbraio, che rimpiazza mona sul cd odierno. l’intro di chitarra di richard con l’acustica è qualcosa che fa pensare che les paul avrebbe potuto non aver bisogno di elettricità. quindi il tipico timing a la bo diddley, con l’armonica di brian jones sia a riffare che a lanciarsi in assolo, l’incessante batti mani e un jagger bulletto imbronciato – “I’m gonna tell you how it’s gonna be” . parlando del singolo, oldham disse che ci aveva suonato anche phil spector. era una balla. ma spector e l’amico gene pitney vennero veramente in aiuto l’ultimo giorno di sessions, il 4 febbraio. avendo già conosciuto la band, a gennaio, per via del tour con le ronettes, piombarono al regent sound per un saluto. si trovarono nel bel mezzo di una crisi. l’album era abbondantemente sotto i 30 minuti. pitney tirò fuori una bottiglia di cognac. spector prese jagger e una chitarra e si mise sulle scale. dieci minuti più tardi tornarono con little by little – shame shame shame di jimmy reed brutalmente scopiazzata – e in mezz’ora incisero un R&B, un piede nei campi di cotone, l’altro in un pub di londra. pitney suonò il piano e spector la famosa moneta infilata nella ormai vuota bottiglia di cognac o maracas come riportato sulla copertina. sollevati, passarono il tempo a improvvisare sulla jam che chiudeva i loro concertì – si usava molto jammare ai tempi, dimostrava che “the band could really play” . venne fuori dagli stessi accordi della loro cover di marvin gaye, come candidamente confessato nel titolo, now i got a witness.
l’album di debutto dei rolling stones non potrebbe mai essere confuso con un disco di oggi. è più in sintonia con le incisioni di alan lomax nel mississippi che, per dire, con l’ultimo dei radiohead. crude equipment produced a raw sound. una band giovane che non potendo ancora esprimersi attraverso canzoni da loro scritte, guardò verso l’america nera per trarne ispirazione e sostanza musicale. ma la loro focosa attitudine li portò a rileggerla con un oscura profondità e verità che mai si era ascoltata da giovani inglesi.
“il primo album può essere incredibile” disse una volta keith “ tutta quell’energia … incredibile! e quasi triste in un certo senso, perché già sai che è una once-ever experience. lo ascolto ancora …”
giovedì 27 agosto 2009
SRV Riviera Paradise
East Troy, Wisconsin, 27 agosto 1990, notte.
Dopo aver preso parte ad concerto con Eric Clapton, Robert Cray, Buddy Guy e il fratello Jimmie, tenutosi all' Alpine Valley Music Theatre, Stevie Ray Vaughan sale su un elicottero per tornare al suo albergo di Chicago. Come dichiarato in seguito dallo stesso Clapton, Vaughan, stanco per il concerto, chiede di prendere il posto di Clapton e partire per primo. Poco dopo il decollo il velivolo si schianta contro una collina a causa della fitta nebbia e della poca esperienza del pilota in simili condizioni atmosferiche. Le tre persone a bordo, un collaboratore di Eric Clapton, il pilota, e Stevie Ray Vaughan, muoiono nell'incidente.
mercoledì 26 agosto 2009
martedì 25 agosto 2009
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