martedì 19 aprile 2011

Boogie for Stu

Londra, 9 marzo. Ambassador Theatre , Boogie for Stu
Ben Waters, pianista di boogie woogie, presenta in anteprima il suo disco tributo al mai dimenticato, Ian Stewart, il sesto Stone.
La locandina annuncia “very special guests” per la trepidazione dei fans della Greatest Rock’n Roll Band In The World e non solo, poche centinaia di fortunati.
Due gli show previsti: un matinee, alle 7 pm ed uno alle 09:30, sold out.
Dopo una brevissima presentazione si parte con tre numeri di boogie woogie, genere caro a Stu, suonati da Ben Waters e da Axel Zwingenberger, ai quali si aggiunge sullo stage il primo ospite, Jools Holland che si siede alternativamente ai pianoforti dell’uno o dell’altro. La prima grande emozione arriva quando sul palco viene chiamato Charlie Watts: polo bianca e jeans neri, si siede alla batteria, spazzole in mano e largo sorriso. E’ in gran forma e swinga da par suo, divertito come poche volte l’ho visto e visibilmente soddisfatto. Down The Road Apiece è cantata da Holland e quando la band attacca Rocket 88, da molti ritenuto il primo vero rock’n roll della storia, sale sul palco Hamish Maxwell, gran voce per una versione sanguigna e sentita. E’ quindi il momento di Mick Hucknall per il soul di Ray Charles: il rosso canta meravigliosamente, feeling, grandissimo pathos e voce graffiante. Rimane sul palco per un altro numero quindi boato per l’ingresso di Bill Wyman a riformare l’altra metà del cielo stonesiana, in aggiunta al contrabbassista Dave Green. Il rock’n roll inizia a farla da padrone. “Now it’s time for some guitar” per introdurre sul palco Mick Taylor e la star più attesa, Ronnieeeeeeeee Wooooooood! Scattiamo sotto il palco, Ronnie è ad una stretta di mano, la fida Strato in spalla, in forma smagliante, sempre sorridente, contento, gigione: Rockin’” Ronnie steals the show, tonight! Numerosi gli sguardi d’intesa con l’ispirato Mick T che suona la cara Les Paul, con sapienti e numerosi interventi slide. Worried Life Blues, cantata grintosamente da Wood, rilassa, si fa per dire, l’atmosfera. Ragazzi, 4 Stones 4 sul palco e noi siamo lì, emozionati e divertiti come loro. Tocca a Shakin’Stevens per Shake Rattle and Roll e quindi di nuovo Mick Hucknall per una splendida Can I Get A Witness, Soul e R&B sono il suo vero pane quotidiano e ne offre una resa al tempo stesso fedele e personale. Lo show è al climax, l’entusiasmo alle stelle. Let It Rock è mostruosa, suonata con vero scambio di ruoli dei chitarristi. Taylor e Wood salutano, veramente divertiti e con gli ultimi due numeri si ritorna all’iniziale boogie woogie con i pianisti a scambiarsi posto e compiti. Un grande show, divertente, suonato bene, con la giusta magia fra i musicisti e audience. Per noi fans degli Stones un’occasione unica di rivederne 4 sul palco assieme. Averli a meno di un metro ci ha fatto sentire quasi parte della band, occhiate e sorrisi di approvazione.
Il secondo show cambia di poco la setlist ma si rivelerà inferiore se paragonato con la meravigliosa atmosfera del primo. Innanzitutto i musicisti sono tornati sul palco diciamo, high, very high! Mick Taylor è più confuso e casinista, Ron Wood più distratto, lo stesso Jools Holland disordinato. I suoni sono più sporchi, i volumi esagerati, non si sentono i due pianoforti sovrastati dalla batteria di Watts, che abbandona tocchi leggeri per pestare pesante. Addirittura va fuori tempo su You Never Can Tell, cantata sempre da Wyman ma senza tiro, stancamente. A differenza del primo show si cimentano in Little Queenie e High Heel Sneakers. Sempre grande Hucknall, elegante interprete. Inchino collettivo, saluti.
Usciamo, stanchi ma felici, increduli. Dal backstage escono gli artisti: applausi e abbracci, the show is over.

Ps fuori dal teatro ho trovato in terra un bigliettino, diceva : “Mick & Keef didn’t show up? That’s their own shit!”